Invece, lo sviluppo della capacità di costruire e abitare rappresentazioni culturali e simboliche, può rappresentare un argine al vuoto, al trauma e favorire lo sviluppo di difese sostenibili. Questo vuoto può spingere la gente a riempirlo compulsivamente: spesso l’arte o il linguaggio artistico possono offrire riempimenti più sani del vuoto e del lutto sociale e di massa.
Oggi i terapeuti, accanto alla necessità di curare utilizzando gli strumenti consueti, hanno bisogno di trasformare artisticamente ciò che viene percepito dalla propria mente. Ogni atto interpretativo o personale rappresenta infatti il riflesso di parti artistiche più o meno esplicite del terapeuta. Nell’atto di cura, ognuno di noi si rifà a una tecnica e a una esperienza, ma riuscire a trasformare tale atto in intervento terapeutico implica l’uso di funzione di trasformazione, rappresentazione e ascolto di una parte artistica innata dell’uomo, studiata da molti autori e da essi chiamata Rêverie. In tal modo l’arte dello psicoanalista è la rêverie, ma come necessità, come bisogno essenziale e non come entertainment.
Nei periodi di crisi o nei popoli primitivi dipingere era una necessità, proprio per la sua funzione di rappresentazione. Questa modalità esprime inoltre il legame delle aree comuni che la cultura stimola tra pazienti e operatori, dove la cultura è un elemento psichico prima ancora che un lontano riferimento astratto.
La mente del terapeuta opera naturalmente in questa direzione.
Arte e cultura sono parte del patrimonio psichico inconscio che andiamo a cercare nelle patologie soggettive. In questo modo i terapeuti, nel loro lavoro di cura, possono diventare anche interpreti artistici, culturali o rappresentazionali.
In generale, molti terapeuti possono necessitare di una funzione artistica che pur senza rinunciare agli aspetti di setting o scientifici del ns lavoro, possa operare e ascoltare la propria rêverie trasformativa. Si tratta di un lavoro di parti preverbali che intervengono sul soggetto insieme ai pensieri. Questo tipo di ascolto oscilla tra percezioni consapevoli e l’esplorazione di ciò che non sappiamo, ma che emerge artisticamente come immagine, nei sogni o nell’interazione col paziente.
Questo approccio può diventare una modalità di pensiero e di trasformazione di aree di vuoto in aree di lavoro psichico.
La trasformazione artistica del proprio modo di curare avviene in modo automatico e non sopprimibile e può avvenire attraverso varie espressioni: sognando, facendo teatro o musica, lavorando con tecniche specifiche. In una parola, trovando le proprie modalità di cura.
Fondamentalmente però è l’ascolto della nostra rêverie o del nostro sentire, l’ascolto del nostro ascolto, che pongono un tema di attenzione a ciò che la mente o le sue parti preverbali già trasformano come simboli interni, come aree che passano dal vuoto alla presenza visibile. In altri termini, un lavoro che non parte dallo studio classico o dalla tecnica acquisita, sempre necessaria, ma da una dimensione interna che emerge all’interno del pensiero in varie modalità.
Questa pratica pone l’accento sulla necessità di un lavoro anche in un altro ambito (inconscio, non ancora consapevole, preconscio, preverbale?) perché possa diventare un lavoro altrettanto utile sia per i nostri pazienti, sia per noi stessi. Chi cura la psiche necessita della creatività come mezzo per oltrepassare i traumi dei pazienti e gli effetti che hanno sulla sua psiche, anche per continuare a rinascere dal trauma.
Ciò che non è digerito o pensato o percepito può diventare qualcosa di rappresentabile.Rappresentare è uno dei fini ultimi per simbolizzare o per passare dal preverbale al verbale, dal narcisismo alla relazione. Questo processo spesso può introdurre il valore della relazione terapeutica e la sua simbolizzazione. In ogni caso, rappresenta lo stimolo a rintracciare una zona di confine fra rappresentazioni della mente dell’analista e del paziente. È necessario darsi un tempo, prima o dopo la seduta, fra questa nuvola di percezioni e il comprendere come e in che modo possono essere rese visibili alcune immagini che si impongono rispetto al paziente.
Tornando alla mia piccola arte, essa dà forma alla funzione innata della rêverie, con un lavoro su di me, sulle immagini, pensieri o sensazioni somatiche che si affollano nell’incontro terapeutico con una persona. Rispetto al controtransfert, La rêverie è molto più legata a elementi personali del curante, mentre il controtransfert è più frequentemente generato dalle proiezioni dei pazienti.
I dipinti che ho realizzato sono la raffigurazione di questi processi >