di Francesco Comelli
di Francesco Comelli
Itempi in cui gli Stati Uniti apparivano come un modello di sane competitività sembrano definitivamente in crisi.
In passato, l’America era il luogo dove il mondo sportivo poteva contare sul valore dell’atleta e in una società dal codice fraterno, con un pragmatismo anglosassone lontano da fumose ideologie europee percepite come vecchie. Lo sport nelle Università, sostenuto come via d’accesso alla vita, con la massima considerazione per i risultati, era un vero riferimento sulla possibilità di competere e vincere lealmente. Gli onori tributati al più forte, insieme al rispetto per chi sa perdere con onore e rispettabilità, fanno parte del modello sociale americano che ha prodotto studenti sportivamente eccellenti e non solo accademicamente validi.
Anche la medicina americana si basa meno sulle impressioni o sulla psiche. Si parla di evidence based medicine, un concetto che a noi psicoterapeuti europei ha dato sempre molte perplessità.
E ora?
Il Presidente Trump non sa perdere. Invoca i brogli, chiede una giuria che annulli un risultato palesemente contario.
Nessuna ombra di quello spirito sportivo di cui abbiamo parlato.
Ma ci dimentichiamo di molte competitività malate che in passato hanno pervaso gli Stati Uniti, come quella razziale. Basta ricordare il pugile Hurricane, cantato di Bob Dylan, piuttosto che lo stupore di Bush dopo i terribili attacchi alle Torri gemelle, quando tenne il discorso dal titolo: “Perché noi? Noi siamo brava gente”.
Al di là di facili antiamericanismi o, al contrario, di altrettanto facili conservatorismi, mi preme solo considerare come viene trattato il trauma e il rapporto con le proprie parti negative o indesiderabili.
L’equivoco di questa posizione è forte, in quanto ancora una volta produce una tendenza difensiva scissionale, favorendo un conformismo, con l’espulsione dell’idea di poter essere in parte anche cattiva gente, o poter avere parti che non si desidera vedere, come, ad esempio, parti aggressive o violente.
Oppure, semplicemente, negare di aver perso.
Il tema è forte in Occidente e potremo trattarlo con attenzione, soprattuto perché coincide con la rimozione del negativo, del morire, di ciò che è considerato dolore o distanza o l’incontro con l’altro. La cultura americana capitalista di cui Trump è un esponente, come Berlusconi in Italia, ha prodotto un conformismo emotivo che stride con l’anima anglosassone libera e capace di portare la verità e la critica come elementi di salute.
I recenti avvenimenti lo sottolineano.
Trump seduce il popolo con l’immagine di una patria derubata. Illude su un padre tradito dai figli, e parla di una madre (patria) ingannata. Ciò seduce permettendo l’espressione di emozioni che il singolo ha dentro come angosce e che quindi agisce come fosse vero. Estende il suo scenario emotivo ai suoi con l’idea di un sé che abnorme, come se la patologia del potere fosse nell’ allargamento dei confini del sé.
Chi è Donald Trump?
Lungi da me facili letture dei comportamenti pubblici di un personaggio tra i più importanti del mondo, sebbene coerenti e contraddistinti da manifestazioni istrioniche e apparentemente impulsive.
Se il conformismo è nato dalle leggi di mercato del capitalismo, esso ha probabilmente schiacciato o trasformato o si è illuso di controllare il tema della distruttività, del dolore.
Essere tutti uguali, tutti conformi e ripetere gli stessi atteggiamenti come superamento delle angosce della vita essendo l’ espressione di un mondo senza alterità.
Non dimentichiamoci che Trump, nonostante abbia perso le elezioni, dopo 4 anni di mandato è stato scelto nuovamente da 70 milioni di persone che vedono in lui un riferimento comportamentale in cui riconoscersi.
È l’americano che non tollera l’incertezza, non ama le regole, non rispetta i protocolli legati al suo ruolo, diffida degli intellettuali, ha manifestazioni narcisistiche, tende a negare i problemi.
Ha un approccio stupito nel trovare un mondo diverso da sé e che tratta diversamente le emozioni normalmente depressive, cosi scotomizzate dal mondo della bulimia di cui soffrono tanti e che spesso è ancorata a precisi modi di schiacciare le emozioni a vantaggio di un’incorporazione di tutto.